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È un Mini, grande amore

“Is it love?”, è amore? Così recitava il claim di lancio della nuova Mini del gruppo BMW. 20 anni dopo possiamo dirlo con certezza: sì, è amore. Amore vero. Un piccolo, grande amore narrato nel libro “The Big Love”, curato da Paolo Matteo Cozzi per Electa e presentato allo spazio Corso Como 10 di Milano. Una location perfetta, per quella che, più che un'automobile, è considerata un oggetto pop.

Cenni di storia. Un'icona quasi ininterrottamente sul mercato dal 1959, anche se negli anni 90 aveva cominciato a perdere colpi. Il gruppo BMW aveva rilevato il marchio nel 1994 con l'acquisto della Rover. Ma come, i tedeschi che allungano le mani su un'icona pop british, che più british non si può? Si rischiava il sacrilegio e molti lo gridarono, in effetti: solo in Italia, risultavano ancora immatricolate 70.000 Mini, delle 5.387.862 costruite fino al 2000. Un potenziale pazzesco che comportava una grande responsabilità. Sbagliare era la cosa più facile da fare. È andata diversamente. Il progetto della nuova MINI, con le quattro lettere tutte maiuscole (come LOVE, l'ubiqua immagine pop dello scultore americano Robert Indiana), fu varato ufficialmente nel 1997 dalla BMW sotto la guida stilistica del designer Frank Stephenson e con la prima concept ACV30, presentata durante il Rally di Monte Carlo, a ricordare i 30 anni dalla prima vittoria dell'impertinente inglesina.

Nel nuovo millennio. Quando debuttò la versione definitiva, la serie R50, non ci furono dubbi: postmoderna quanto si voleva, ma era una Mini. Si vedeva subito, a una prima occhiata, nei modelli One e Cooper del settembre 2001 e, l'anno successivo, con la grintosa Cooper S, sportività pura nelle dimensioni e nel segmento B della superutilitaria. Che peccato, però, utilizzare un termine così aridamente schematico: è vero, la Mini è un'utilitaria, ma non la si è mai comprata per questo, per la necessità di farsi trasportare. Una Mini arriva in garage soprattutto per scelta. È sempre stato così già ai tempi della Morris, quando la creatura di sir Alec Issigonis faceva rima con minigonna innalzandosi rapidamente a simbolo della generazione libertaria degli anni 60. Ecco perché, 30 anni dopo, “con la Mini si poteva fare di tutto”, ha ammesso Roberto Olivi, ai tempi responsabile della comunicazione del nuovo marchio. E difatti si cominciò in un modo deliziosamente analogico, oggi improponibile: per strada, con la tecnica del guerrilla marketing lasciando la cartolina “mandate la Mini al museo” sotto il tergicristallo dei vecchi modelli parcheggiati. In fondo, era vero: alla soglia dell'era digitale, la piccoletta aveva bisogno di una bella rinfrescata al look. Funzionò. Già nel maggio del 2002, il centomillesimo esemplare lasciava la linea di montaggio e in poco più di un anno ne erano già stati venduti 170.000, di cui 20.000 solo in Italia (il 12% del totale mondiale). Da allora, è stato un successo costruito con diverse motorizzazioni, costanti restyling, versioni speciali e, da ultima, la Mini full electric, che proietta il leggendario “kart effect” della guida in una dimensione di fluidità e divertimento puro mai provati prima.


Il libro. Nel suo formato (appropriatissimo) da disco 45 giri, “The Big Love” canta la voce ispirata della Mini nell'immagine pubblicitaria, nel design e nella cultura automotive di massa. È un viaggio nelle testimonianze di chi l'ha vissuta in prima persona. C'è Anna Agnelli, regista e ultimogenita di Umberto, che racconta come è “salita a bordo” della Mini e il linguaggio utilizzato nei primi spot da lei diretti. Lo storico e teorico dell'arte e dell'architettura Aldo Colonnetti spiega il contenuto simbolico che la vettura ha avuto, e continua ad avere, grazie al design. Ecco il giornalista Francesco Festuccia e l'attore Pierfrancesco Favino raccontare come la Mini sia riuscita a rubacchiare la scena alla sorella maggiore sul grande schermo, nel remake di “The Italian Job” e non solo. In fondo, come diceva Michael Caine in “Austin Powers, “non sono le dimensioni che contano baby, ma come si usano”. Lo chef Massimo Bottura, grande appassionato di auto, ricorda le affinità del suo pensiero con la Mini, che sostiene l'impegno sociale e ambientale che Food For Soul, la onlus fondata con la moglie Lara, porta avanti dal 2016. Non ci si annoia, nello scorrere velocemente le pagine coloratissime di “The Big Love”. Ciò che resta impigliato nel cristallino è un passaggio dello scrittore Mario Calabresi, che nota come la vettura uscì in un mondo molto diverso da quello attuale. Non c'erano gli smartphone, non c'erano i social, il mondo del lavoro era regolato e si andava in ferie ad agosto. Sotto l'ombrellone si leggevano il giornale e i rotocalchi, mentre la musica usciva ancora dai jukebox. Oggi che la globalizzazione ha reso tutto fluido e inafferrabile, la Mini è rimasta più o meno quella. E non è cosa da poco.




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